Siamo stati a Torino ad incontrare Bruno Gambarotta dopo il grande successo ottenuto martedì 13 febbraio 2024 alla Casa d'i Soci, Maison des Associations di Monaco, evento organizzato dell'Associazione OdP-TRIF. (vedi nostro articolo). Questo è quello che ci ha raccontato completando la sua esposizione fatta a Montecarlo. Sandro Doglio: “Il Piemonte è regione difficile da conoscere a fondo. C'è un generale risveglio d'interesse, sia del pubblico che dei mezzi di informazione, per l'enogastronomia di qualità e per i cosiddetti “prodotti di nicchia” visti come un prezioso “patrimonio culturale” alla pari dei musei e delle chiese romaniche, un possibile volano di incremento economico e di uno sviluppo che, anziché intaccare e corrompere l'ambiente, lo esalta, lo recupera e lo salvaguarda. La cucina piemontese nasce in tempi lontani per tradizione familiare e orale, avente come base di partenza l'agricoltura e i prodotti spontanei della zona, gli animali catturabili ed allevati, gli ortaggi, gli usi e gli strumenti di cottura, le erbe e i condimenti disponibili, i contatti con le popolazioni vicine, ma ancora i gusti e le inclinazioni, l'indole e le preferenze delle popolazioni. Di ciascuna ricetta esistono molte variazioni e la cuoca casalinga ha sempre una sua mano personale e libera nel mettere giù di volta in volta gli ingredienti."
Province del Piemonte: Torino, Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, Novara, Verbania (VCO), Vercelli. La cucina del Piemonte: tre tipi: popolaresca, borghese, reale. Popolaresca: pochi ingredienti economici, prodotti della terra e degli allevamenti. I piatti sono quelli delle “feste”, preparati soltanto in quelle occasioni. La borghese era più ricca: commercianti, banchieri, piccoli proprietari, impiegati: prodotti di altre regioni, diversi tipi di carne (vitello, manzo, pollami, conigli, selvaggina). Nobile e di corte: preparazioni ricercate, prodotti di altre regioni, piatti di origine francese. Torino e l'influenza delle immigrazioni. Sia dal Veneto che dal Meridione. Sagra del Pane di Piobesi Torinese. Il Caritôn di Piobesi. Un tempo veniva confezionato con gli avanzi della pasta preparata per il pane, a cui si aggiungevano un po' di zucchero e l'uva fragola. Gli acini interi, inseriti nell'impasto, conferiscono alla fetta appena tagliata una colorazione vivace. E' una focaccia piatta. Sul fondo, a spirale o a cerchi concentrici, gli acini di uva fragola. Durante la cottura in forno, gli acini rilasciano il succo che in parte si lega all'impasto. Il coperchio glassato o spolverato di zucchero.
Antipasti: acciughe al verde, lingua in salsa, salame cotto affettato (cotenne, lardo, poca carne di maiale), cotechini con purè, falde di peperone con bagna cauda, pesci in carpione, galantina di pollo in gelatina, vol au vent con la fonduta, flan o sformati di verdure, paté di selvaggina e paté di tonno, insalata di carne cruda, vitello tonnato, insalata russa, insalata capricciosa, pomodori ripieni di riso o di tonno, prezzemolo e uova sode. Minestre: cisrà (zuppa di ceci), di fagioli, minestrone di verdure di stagione, minestra con la trippa. I grissini: tradizione vuole che i “petit batons de Turin”, come li chiamava Napoleone, siano stati inventati da Antonio Brunero su indicazione del medico Teobaldo Pecchio di Lanzo, per guarire il giovane Vittorio Amedeo II, tirando la ghersa fino ad allungarla. Due tipi: gli stirà e i rubatà. La torta gianduja: nocciola tonda gentile tostata, marmellata di albicocche, crema al cioccolato. Le pesche ripiene: polpa delle pesche, amaretti pestati, uovo sbattuto, zucchero, marsala, cacao, biscotti sbriciolati. Galantina di galletto con gelatina al marsala. Coniglio in civet, la carne messa a macerare nel vino rosso con aromi. Canavese e valli di Lanzo Piatti semplici ma originali, nati dalla creatività delle massaie che sapevano combinare abilmente gli ingredienti di cui disponevano: i prodotti dell'orto, la farina di granoturco macinata a pietra, le erbe di montagna, la toma. Le zuppe, specialmente quella di cavolo e quella di aioche, costituivano il piatto forte. In Piemonte sono state classificate più di 500 piante spontanee di possibile uso di cucina. Le aioche (phyteuma halleri) piante erbacee perenni crescono nei prati degli alpeggi fra i 600/2000 metri raccolte fra aprile e maggio, prima della fioritura.
Le “miasse”, sottili e croccanti rettangoli di farina di granoturco, cotte su piastre di ferro arroventate cosparse di “salignùn”, composto da: formaggio fresco. Sale, peperoncino rosso, semi di comino. La torta di pane raffermo perché non vada sprecato. Ammorbidito mettendolo a bagno nel latte. Il “bagnetto verde”: pane raffermo, prezzemolo, aglio, aceto, olio, albume rassodato, acciughe sotto sale, peperoncino, sale. “Salsa piccante”: peperoni, pomodori, cipolle, spagnolino. “La giardiniera classica”: carote, cavolfiore, fagiolini verdi, cipolline, cetriolini, peperoni gialli, sedano, alloro. Un piatto da presentare per primo a uno che viene da fuori è l'antipasto piemontese,grazie agli orti che a partire dalle abbazie si diffondono in tutte le case coloniche del Piemonte. Prima ci sono cavoli, cavolfiori (dall'Arabia), asparagi, cipolla, bietole, ortaggi a foglia. Poi, grazie alla scoperta dell'America, fagioli, pomodori, peperoni e patate. A proposito delle patate, arrivate da noi dopo la scoperta dell'America, non dobbiamo dimenticare che il loro ingresso in cucina è stato lentissimo e pieno di pregiudizi. Sul mercato di Torino arrivarono in una data precisa, il 26 novembre 1803. Il benemerito avvocato Vincenzo Virginio morì in miseria dopo aver speso tutti i suoi averi nel tentativo di convincere i suoi simili della commestibilità delle patate. Più lenti ancora nella vittoria sui pregiudizi furono il peperone e il pomodoro (mio bisnonno). I PAT sono i Prodotti Agroalimentari Tradizionali in Piemonte sono 370. Minestre di riso e latte: castagne, zucca, rape, fagioli. Riso e: verdure, cavoli, patate e porri, erbe spontanee di primavera, ortiche, spinaci selvatici, aoiche (Phyteuma Halleri).
Minestra di trippa, Gnocchi di patate, Polenta concia: con burro e formaggio, con il merluzzo in umido, acetosa, boudin (sanguinacci), salsiccia e fresse, selvaggina e altra carne in umido. Salami di patate, 'd la doja (Vercelli). Miassa: sorta di cialda preparata con una pastella a base di farina da polenta macinata finissima, cotta su un ferro apposito.Pes-coj o Capunet: foglie di cavolo, lessate per pochi minuti, ripieni di carni tritate, salsiccia, uova, grana grattugiato, riso. La Cisrà: minestra di ceci con il piedino o cotenna arrotolata. La Tofeja: Prende il nome dal contenitore. Una marmitta di terracotta con base larga, forma bombata, imboccatura stretta, chiusa con coperchio di terracotta. E' una zuppa di fagioli con le cotiche e le altri povere del maiale, preive, costine, piedino, orecchie, musetto, codino, cotechino. Il preive: cotenna del maiale be sgrassata, tagliata a rettangolo, arrotolata, salata e aromatizzata con un trito di aglio, salvia e rosmarino, pepe e spezie (noce moscata, garofano, cannella, macis, coriandolo, pimento) Cotta nel forno da pane dopo averlo estratto e lasciare che si spenga: 15 ore. Le Fresse in Canavese sono le Grive nelle Langhe. “Griva è il nome piemontese del tordo. Ma è anche il nome di un piatto caratteristico: una specie di polpetta di fegato di maiale, uova, bacche di ginepro, parmigiano, spezie, avvolta nella “retina” (omento) del maiale. Una seconda versione delle grive prevede invece come contenitore una foglia di cavolo e all'interno un impasto speziato prevalentemente o totalmente vegetale. La “griva vegetale” può dare l'illusione di poter consumare un piatto di carne anche in Quaresima. Vediamo altre invenzioni di questo tipo. Per cattolici, modi per aggirare i divieti e mangiare carne nei giorni vietati. Il tonno di coniglio. Le carni di coniglio messe in carpione hanno l'aspetto, la bontà e la tenerezza d'un filetto di tonno. Le trote di Avigliana. I monaci di Avigliana, nei giorni di quaresima e di magro ricorrevano al sotterfugio di tuffare i vitelli destinati al macello nel lago, ripescandoli poi con le reti e battezzandoli pesci. E' nato allora il soprannome di “Trote di Avigliana” per i vitelli più teneri. Supa mitonà: mitonnè = sobbollito. Con pane raffermo assolutamente senza grassi, cipolle, brodo di carne, salsiccia, grana grattugiato, toma. Le Ofele, ferro per cialde dolci, canestrelli. Biellese e vercellese Valsesia, cucina Walser Il riso è arrivato in Piemonte più o meno nell'anno 1000, portato dai Saraceni, attraverso la Sicilia. Le prime coltivazioni di riso in Piemonte sarebbero avvenute nella zona di Trino Vercellese, dove poi sorse l'abbazia di Lucedio, dei frati cistercensi, che ne perfezionarono la coltura e lo diffusero. E' l'occasione per un'infinità di varianti. C'è naturalmente un “risotto al Barolo” un colore quasi violaceo. Riso e latte, riso e castagne (castagne bianche, secche, ammollate in acqua o latte). Poi abbiamo uno splendido “risotto verde”, con spinaci e prezzemolo ed eventuali erbe selvatiche. Poi c'è il “risotto con le rane”. Poi il riso lo si trova come ripieno in particolari verdure, specialmente nei pomodori. C'è anche la “frittata di riso”. Riso in cagnone ovvero con la toma, piatto delle feste. La Panissa: risotto rustico, tipico del vercellese, piatto unico per generazioni di mondariso. Sono indispensabili i salam 'd la doja cioè i salami che sono conservati negli orci di terracotta, coperti completamente con grasso fuso del maiale che li conserva e mantiene morbidi. Piatti a base di rane: riso e rane, rane fritte, in frittata, zuppe di rane, minestra riso e rane, min guazzetto, al verde. Oca alla vercellese. Polenta concia, molle col cucchiaio. Novarese Verbano Cusio Ossola La Paniscia è il risotto tipico del novarese che si distingue dalla panissa vercellese in quanto il riso viene fatto cuocere in una specie di “minestra di verdure con fagioli” mentre nella seconda il riso cuoce nel brodo di cottura dei fagioli. Altra differenza è rappresentata dal salame utilizzato che nel novarese sovente è quello di mortadella di fegato di maiale mentre nel vercellese è sempre quello “d'la doja”, cioè il salame di pura carne di suino conservato sotto grasso. Il Gorgonzola sembra sia nato dalla sbadataggine di un mandriano che dopo aver munto le vacche stanche (stracche) del viaggio verso l'alpeggio, ne fece un formaggio che dimenticò in quel punto di tappa (Gorgonzola). Qualche mese dopo, al ritorno dall'alpeggio ritrovò quella forma trasformata dalle muffe ma ancora commestibile e di ottimo sapore che venne chiamata “stracchino”; si pensò così di iniziare la produzione di questo formaggio gustoso e caratteristico che ancora oggi a Novara chiamano con tale nome. Alborelle in carpione. Carpione è la marinata preparata per conservare pesci, carni o verdure. Anche zucchine, uova fritte, trote e altri pesci d'acqua dolce. Secolo I d.C. Apicio “De re coquinaria”. All'aceto si sono aggiunte verdure, erbe aromatiche, uvetta, spezie, zucchero, agresto (succo d'uva asprigna). Tagliolini ai misoltini Lago di Como: I misoltini sono degli agoni della varietà di acqua dolce, della specie aringa. Tapulon stufato di asino tipico del novarese, nato a Borgomanero. Un gruppo di pellegrini di ritorno dall'isola di San Giulio sul lago d'Orta fece tappa nel punto in cui oggi sorge Borgomanero e non avendo più nulla da mangiare pensarono di uccidere il vecchio asino che all'andata era stato utilizzato per il trasporto delle provviste. Siccome la carne era molto dura pensarono di tritarla (in piemontese “tapulela” o “ciapulela”) con il coltello e farla stufare nel vino rimasto, con aglio ed alloro e qualcuno di dice anche con cavolo verza. I pellegrini si trovarono tanto bene in quel posto che decisero di rimanervi fondando Borgomanero e continuando a preparare quello stufato che l aveva sfamati. Attualmente il tapulon viene preparato anche con carne di cavallo o bovina. Monferrato Astigiano e Alessandrino. Gli antichi abitanti dell'Alto Monferrato erano liguri, ossia “Statielli” come li definì nel 1635 il Della Chiesa nella “Relazione dello stato presente del Piemonte”: Natura dei popoli Statielli “I popoli di questa provincia nei costumi s'accostano ai Genovesi, così nel vestire, vivere e parlare non sono da loro molto differenti”. La zona di Novi Ligure, nei secoli passati, era uno dei maggiori punti di incontro tra mercanti liguri e padani; non per nulla ancora oggi il dialetto locale è un misto tra il piemontese ed il ligure. I Tajarin, sottilissime tagliatelle preparate a mano e conditi con burro e tartufi, oppure con fegatini di pollo o con carne. Sono con torli d'uovo e farina, fino a 20 tuorli per chilo. Gli Agnolotti piemontesi. L'arte della pasta ripiena è antichissima e non solamente italiana. Ne parla il Boccaccio in una sua novella. Sono anche un'occasione per il recupero degli avanzi. Il racconto dell'origine. Il Marchese del Monferrato dopo essere stato assediato dal Principe d'Acaja, volle festeggiare la vittoria. Però, dato il lungo assedio, le materie prime erano scarse ed il cuoco, un certo “Angeloto” preparò della pasta ripiena con quella poca carne e verdure che aveva a disposizione; quella preparazione piacque a tutti e divenne “l piat d'Angelot”. Da “Angelot” a “agnolot” il passo è breve. Nelle diverse zone del Piemonte il ripieno, pur avendo una base comune, ha innumerevoli varianti. Nel Monferrato, oltre alle carni arrostite di vitello, maiale e pollo appare anche quella di coniglio. Nella piana alessandrina: stufato al Barbera e salsiccia, nell'astigiano stufato d'asino, nel Canavese oltre all'insalata scarola o indivia o cavolo anche un po' di riso lessato. Per gustare al meglio il ripieno in alcune zone del Monferrato è diffusa l'usanza di far assaporare qualche agnolotto scondito deposto su un tovagliolo. Il Pollo alla Marengo. 14 giugno 1800. Dopo aver sconfitto gli austriaci Napoleone aveva fame. Il suo cuoco preparò alla svelta, con polli rubati ai contadini, olio d'oliva, burro, prezzemolo, uova, funghi, brodo e vino bianco. Tagliare il pollo in più parti, infarinarle e arrostirle in padella con olio, burro e aglio. Aggiungere del vino bianco e dei pomodori a pezzi. Dopo aver saltato il pollo aggiungere i funghi. Dopo dieci minuti di cottura riunire i petti di pollo, succo di limone e prezzemolo. Servire con pane e uova al padellino. La moda di mangiare pasta asciutta e non in brodo inizia alla fine del 1700 ma si afferma solo dopo il 1850. Il Fritto misto (la “Fricia”) all'inizio coincide con l'uccisione del maiale, per utilizzare le parti facilmente deperibili dell'animale. Vialardi elenca 128 tipi diversi di frittura. Nel corso degli anni il piatto si è arricchito e sono stati eliminati quasi tutti i componenti di maiale. Gli ingredienti classici: costolette di agnello e di maiale, le fettine di vitello, la cervella, i filoni, le animelle (lacèt), testicoli di vitello (granella), il fegato di maiale o di vitello, la salsiccia, il semolino dolce, l'amaretto e la mela. Si possono aggiungere i batsoà, le frisse, la fettina di pollo, le polpettine di carni mister, i fiori di zucca (ripieni o non), i funghi porcini, le zucchine, i carciofi o i cavolfiori. No: arancini di riso, banana, kiwi, ciliegia, ananas, pesca, prugna, fico, pavesino. Langhe, Roero, Monregalese e pianura Cuneese Il Murazzano DOP: 40 comuni dell'Alta Langa Con il latte di vacca, pecora o, quando c'era, capra, le donne facevano coagulare il latte dentro una pentola per mettere successivamente la cagliata a colare dentro forme prima in legno e poi di alluminio dette “fascelle”: producevano la “tuma”. Ogni giorno le due o tre forme realizzate finivano di asciugare all'aria su un pezzo di telo dentro la “stagera”, protette dalle mosche e dai topi. Il venerdì le donne partivano a piedi o in bicicletta e andavano, con il cesto coperto da un asciugamano a quadretti al mercato di Murazzano, il capoluogo, a vendere il loro prodotto. Ai tre ingressi del paese trovavano i negozianti che avevano predisposto dei tavolacci su cui si appoggiavano i cesti ed iniziavano i commenti e le discussioni sulla merce offerta. Alla fine le tume erano acquistate per pochi soldi e partivano per i negozi delle città della pianura, fino a Torino.I negozianti avevano un grosso punto punto di forza: se le donne non avessero venduto il formaggio non avrebbero avuto i denari per acquistare i generi alimentari che la terra non produceva. In Italia i formaggi riconosciuti e certificati sono 403 e di questi ben 64 sono piemontesi. Il Bross. Si prepara e si custodisce in apposito recipiente di terracotta detto “tupin-a”. Deponetevi la robiola in tre pezzi, un bicchierino di grappa, un bicchiere di vino bianco secco vecchio, meglio se da un torbido fondo di bottiglia. Coprite il recipiente con un foglio di carta oleata e deponetelo in cantina. Dopo 7 giorni con un cucchiaio di legno mantecate la robiola che ha già iniziato a fermentare, facendole fare 12 giri su se stessa, non uno in più non uno in meno, sempre nello stesso senso, da destra a sinistra e mai al contrario, il senso da sinistra a destra è prerogativa del Maligno. Poi unite una robiola tagliata in tre pezzi come la prima, altro bicchiere di grappa, altro di vino bianco, coprite la tupin-a e rimettetela in cantina. Al 14esimo giorno altro rimpasto, poi 24 giri, grappa e vino com e prima e 3 robiole fresche invece di una. 21esimo giorno, 24 giri e solo la grappa. 28esimo, 35esimo, 42esimo, 49esimo e così, al termine di 7 settimane, il Broos è pronto. La salsiccia di Bra è la sola salsiccia italiana autorizzata a essere prodotta con la carne di vitello anziché di suino. La tradizione vuole che tale insaccato sia nato e sia stato autorizzato dal re Carlo Alberto per soddisfare la comunità ebraica di Cherasco che non poteva consumare salsiccia di suino. All'inizio era di solo vitello, oggi, scomparsa la comunità ebraica, si aggiunge anche carne in modeste quantità. (Oggi ci sarebbero i mussulmani) Giovanni Arpino: la salsiccia di Bra è consumata a metri. Nel Saluzzese troviamo la Minestra di Erbette: foglie di girasole, luppolo, cicuta dei prati, foglie di malva, violette, foglie di ortica, primule, costine e sedano; pataste, cipolle, prezzemolo, acqua e sale. E, all'ultimo momento, un tuorolo d'uovo crudo. Il Brasato al Barolo è un patrimonio gastronomico del Piemonte. La carne deve avere parti muscolose, altrimenti diventa stopposa. Vitel toné. Il termine non deriva da tonno. Secondo alcuni la terminologia è da ricondurre al participio passato del verbo “tanner”, conciare, con probabile riferimento alla concia, alla marinata in acqua e aceto della carne. (Oggi si preferirebbe acqua e vino bianco con un cucchiaio di aceto). Per altri è la dizione abbreviata del termine dialettale “mitoné” riferito alla cottura molto lenta della carne: donde “vitel mitoné”, quindi “vitel toné”. I Batsoà, calze di seta, sono i piedini del maiale, bolliti in acqua e aceto, con cipolle, chiodi garofano e cannella, poi impanati e fritti nell'olio bollente, preparati sul momento.
Il Bonèt è un dolce tipico langarolo. Prende nome dal recipiente di rame in cui veniva cotto, in italiano Berretto. Giovanni Vialardi: Crema rappresa al bagno Maria di cioccolato e Crema al bagno di Maria alle nocciole. In Langa: cioccolato, amaretti, nocciole tostate. Bagna caoda: olio e acciughe non sono il prodotto del territorio. Fino all'800 l'olio era quello di noci. L'olio di oliva in Piemonte. Per secoli – fino ai primi decenni del 1900 – nelle zone a clima più mite l'ulivo è stato coltivato e i suoi frutti utilizzati per produrre olio. Ne sono prova i vati toponimi tuttora esistenti: tra gli altri, San Marzano Oliveto (Asti) e Olivola (Alessandria). Nel 1115, quando Barbarossa distrusse Chieri, il cronista Gontero lamenta la gran perdita di olio, distrutto nel corso dell'assedio. Il progressivo abbandono della coltura dell'olivo sarebbe dovuto a motivi economici, quando il progresso delle comunicazioni permise alla nostra regione di importare a buon mercato olio da paese sotto questo riguardo più favoriti, la Liguria per esempio. Perché l'acciuga. I primi tempi di Roma i militari ricevevano una manciata di sale al giorno e quando, per motivi di indole logistica e organizzativa fu sostituita da un equivalente valore in denaro, questo divenne il salarium; nel Medioevo, per analogia il salarium divenne il soldus da solidus e i militari (gente assoldata, al soldo) divennero soldati. Gli altri rimasero salariati. Nella cucina romana esisteva una salsa, chiamata “garum” o “liquamen”, preparata con interiora o scarti di pesce, salati e lasciati macerare a lungo con erbe, oppure bolliti. Il garum migliore era fatto con i soli sgombri, mentre quello dei poveri con sardine e acciughe; agli schivi era invece riservato un sugo preparato con interiora di pesci e di tonni, teste e lische: gli scarti di produzione. Il garum più costoso veniva preparato fermentando il pesce in una salamoia di sale con spezie e gusti vari. Sembra di vedere in questo uso romano di salse a base di pesci salati l'idea piemontese – anomala per un paese che non confina con il mare – di utilizzare le acciughe conservate sotto sale per preparare una salsa con la quale accompagnare quasi tutti i tipi di verdure, perfezionata con l'uso della spezia che avevano a portata di mano, cioè l'aglio e diluendo il tutto oggi in olio d'oliva ma in passato in altri oli vegetali, di noce per esempio. Verso il XII secolo l'attenzione al sale, consumato da tutti e fattore indispensabile nella conservazione di molti cibi, portò a constatare che una gabella sul medesimo poteva essere il modo più capillare di ricavare introiti da parte di chi deteneva il potere, senza il ricorso a cifre esorbitanti e colpendo praticamente tutti senza possibilità di evasione. Nacquero le strade del sale, le arterie sotto il controllo della Stato e quella battute dai contrabbandieri.

La tassa sul sale cessò di esistere verso la fine dell'800. Nella versione tradizionale l'aglio tagliato a fettine e cotto lentamente nel “fojot”, tegame in terracotta. L'olio non deve mai friggere, se l'aglio colorisce la bagna caôda diventa immangiabile. Si uniscono le acciughe dissalate ma non private della lisca. Nel fojot si intingono tutte le verdure in particolare cavoli, topinambur, cardi, e rape. Peperoni conservati “sotto raspa”, conservati in damigiane coperti da vinaccia. Agnolotti del plin: il pizzicotto dato per suddividere ogni agnolotto sigillando la pasta. La forma piccolissima quasi rettangolare tagliata solo su tre lati. La pasta sottilissima, quasi trasparente. Fino all'800 si consumavano in brodo. La Finanziera è un piatto antico. Il nome deriva dal tributo “in natura” che i contadini pagavano ai finanzieri per passare il dazio e accedere al mercato di Torino a vendere i polli. Il tributo era costituito dalle regaglie dei polli con le quali le mogli dei finanzieri avrebbero creato una preparazione in seguito denominata “finanziera”. La ricetta: filoni, cervella, lacetto, fegatini di pollo, creste di pollo, rognone, fegato di maiale, fegato di vitello, creste, bargigli, duroni, cuori e testicoli, lessati e poi, dopo essere stati messi in acqua e aceto, passati nel burro. Poi cetriolini, piselli, giardiniera di verdure sott'aceto e anche funghi porcini. Cortemilia, la torta di nocciole, senza farina di frumento.Un altro prodotto che sta fra il dessert e la cura ricostituente è lo zabaglione. Siamo a Torino, sul finire del 1500: un francescano, Pasquale Baylon, alle moglie con in confessionale si lamentavano di un marito che le trascurava, consigliava di preparare loro una miscela di uova, zucchero e vino. In pratica lo zabaglione che prende nome dal fatto che il francescano fu fatto santo, oltre che patrono della confraternita dei cuochi torinesi. Perciò ecco nascere da San Baylon, il Sanbajon. Nota: lo zucchero di canna arriva a Venezia attorno all'anno 1000. Quello di barbabietola nasce nei primi anni dell'Ottocento per far fronte alle conseguenze dal blocco navale degli inglesi contro Napoleone. Le Valli Occitane Cuneesi. Ravioline di patate e porri, riso e cavoli, patate e spinaci selvatici, patate e funghi, di seiras, con pasta preparata con farina di frumento e di castagne. Le donne andavano a servizio dalle famiglie borghesi, imparavano i piatti ricchi ed elaborati, tornavano a casa e provavano a rifarli con le materie che avevano a disposizione. Le lumache.
Il Gran Bollito misto, la punta di diamante della gastronomia piemontese. Nell'Ottocento raggiunge il culmine della perfezione. Nella regola canonica si avvale di 7 pezzi di polpa, di 7 ammennicoli (gionte). Le polpe (ij toch) sono: il muscolo, il sottopaletto, la scaramella, la punta di petto, il sottile di vitello, la culatta di bue, la spalla di bue. I 7 ammennicoli: il cotechino (cotto a parte), la testina, la lingua, il piedino, la coda, la gallina, la lonza. 7 salse: bagnetto verde (prezzemolo, aglio, acciuga, capperi, peperoncino, tuorlo d'uovo sodo, aceto e un po' di mollica di pane). Bagnetto rosso (passata di pomodoro, peperone, aglio, basilico, sedano, peperoncino, ecc.) Cognà, mosto di uva Dolcetto, pere martine, mele cotogne, fichi, noci, nocciole, chiodi di garofano, deve consumare lentamente sul fuoco. Salsa al Cren con il rafano, Senape. Sausa d'avie, salsa al miele. Salsa ai peperoni. Ricetta della Cognà: 2 kg di uva dolcetto, pigiata e passata al setaccio. Consumare il mosto al fuoco. Poi mezzo chilo di mele renette mondate e tagliate a spicchi, mezzo chilo di fichi, mezzo chilo di pere martine sbucciate ma intere, 10 grammi di cannella, 15 chiodi di garofano. Dopo la cottura 300 grammi di gherigli di noci e nocciole tostate. La Valle di Susa e le Valli del Pinerolese. L'ingresso della Val di Susa è segnalato dal monte Pirchiriano che un tempo si chiamava Porcariano a testimonianza del posto centrale del maiale nell'alimentazione. Zuppe di pan cotto, si cuoceva il pane nel forno una o due volte l'anno. Pane di segala duro e secco. Purea di fave. Purea di castagne. Ravioli al seiras. Il seiras è la ricotta fatta asciugare nel fieno. Si porta a bollore il siero che deriva dalla preparazione della toma, raccogliendo il formaggio che sale a galla. La Supa barbetta. Ricetta classica. Servono due tegami di rame stagnato. Si copre il fondo con una foglia di cavolo. In uno va uno strato di pane raffermo ricoperto con fiocchi di burro, fette di toma fresca e spezie. Si alternano gli strati fino ad arrivare a qualche centimetro dal bordo del tegame. Si inzuppa il tutto con un brodo ottenuto cuocendo una gallina e un pezzo di maiale con sedano, carota, cipolla, porro, alloro, salvia, rosmarino e timo. Poi si mette a cuocere molto lentamente il tegame per circa due ore e per evitare di rimestare di tanto in tanto la zuppa si capovolge il tegame sull'altro. Prima di servire si irrora la zuppa con burro fatto colorire in padella e aromatizzato con spezie. Confraternite gastronomiche Accademia della Cucina Italiana, FICE Federazione Italiana Circoli Enogastronomici, Compagnie du S.A.R.T.O. - Portique di Chivasso, Confraternita del bagnet, del dolcetto e del moscato – Mango (Cuneo), Confraternita del gorgonzola di Cameri – Fara Novarese (Novara), Confraternita del sambajon e dij noaset – Chivasso, Confraternita del vino, riso e gorgonzola – Novara, Confraternita della bagna cauda di Faule (Cuneo), Confraternita della grappa e del tomino di Chiaverano (Torino), Confraternita della nocciola tonda e gentile di Langa – Cortemilia (Cuneo), Consociazione “Helicensis Fabula” - Borgo San Dalmazzo (Cuneo), Credenza vinicola di Caluso e del Canavese – Caluso (Torino), Grazioso ordine delle Scure Lavandere – Settimo Torinese (Torino), Magnifica consorteria dei Gamberai – Settimo Torinese (Torino), Ordine dei maestri coppieri di Aleramo – Casale Monferrato (Alessandria), Ordine dell'amarena e del nebbiolo di Sizzano (Novara), Confraternita d'la Tripa – Moncalieri (Torino), Bra, la Confraternita della Salsiccia nata nel 2016, Accademia della Castagna Bianca – Cuneo e di Mondovì, Confraternita del Vino e Panissa – Vercelli, Antica Consurtarija dal Tapulon – Borgomanero (Novara), Confraternita dei Persi Pien – Settimo Torinese, Confraternita della Mesce-ciüa.
"Nei romanzi gialli ambientati in Piemonte non manca mai una sosta al ristorante. Ecco un esempio tratto da un romanzo appena arrivato in libreria". Da Orso Tosco “L'ultimo Pinguino delle Langhe”, Rizzoli. “Buongiorno, commissario” ecco Gemma,la proprietaria e anima della trattoria con il carrello portavivande. “Allora, come sempre iniziamo dalla fine. Dico bene, commissario? E quindi ecco la sua panna cotta. Senza cioccolato, che lei il cioccolato me lo soffre, ormai l'ho imparato. E poi la zuppa di castagne e toma. Toma di pecore felici, commissario, che a metterla in bocca sembra di sentirle cantare. E poi il brasato, al Barolo, e l'insalata di rapanelli e nocciole tostate. Oggi le ho fatto aggiungere un po' di porcini freschi che mi hanno portato stamane. Ho fatto bene, commissario? Io dico di sì. E poi lo zabaione, immancabile, con un'aggiunta di Marsala in più per non sentire il vento che tira oggi, e poi... che altro...” “Il pane, burro e acciughe, signora Gemma” dice il Pinguino. “Ah certo! Naturalmente, le acciughe al verde. Eccole. Vanno bene qui?” Il Pinguino si alza in piedi per controllare meglio la tavola: tutti i piatti e piattini sono stati sapientemente disposti a formare un cerchio che occupa l'intera superficie esterna del tavolo rotondo. “Perfetto Gemma”. “Ora bisogna riempire il centro del cerchio. Un bella Barbera. E poi tocca ai sei agnolotti burro e salvia”.
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